lunedì 16 gennaio 2012

LA CRIMINALITA' DELLE LEGGI SUL COPYRIGHT E SUI BREVETTI di Benjamin Tucker


Le leggi sui brevetti e sui diritti di copyright sono i mezzi tramite i quali lo Stato, che è il più grande dei monopoli criminali e tirannici, garantisce speciali, monopolistici privilegi a pochi a spese di molti per proteggere inventori e scrittori contro la competizione per un periodo lungo abbastanza da metterli in condizione di estorcere alla gente una remunerazione enormemente superiore al valore dei loro servizi.
L'abolizione di questi monopoli potrebbe regalare ai loro attuali beneficiati una salutare paura della competizione che potrebbe indurli a contentarsi di pagamenti per i loro servizi uguali a quelli che altri lavoratori prendono per i loro, e a mettersi al sicuro proponendo i loro prodotti e lavori sul mercato fin da principio a prezzi tanto bassi che il loro modo di fare affari non potrebbe tentare altri a mettersi in competizione con essi.
I monopoli dei Brevetti e del Copyright sono una specie di diritti di proprietà che dipendono per la loro legittimità dalla sottile nozione di "proprietà nelle idee".
I difensori di questa proprietà propongono una analogia fra la produzione di cose materiali e la produzione di astrazioni, e per questo paragone dichiarano che il costruttore di prodotti mentali, non meno del costruttore di prodotti materiali, è un lavoratore degno del proprio salario. Fin qui va bene.
Ma, per completare le loro tesi, essi sono costretti ad andare oltre, e a esigere, in violazione della loro stessa analogia, che il lavoratore che crea prodotti mentali, a differenza di quello che crea prodotti materiali, abbia diritto all'esenzione dalla competizione. Poichè il Signore, nella sua saggezza, o il Diavolo, nella sua malizia, ha disposto le cose così che l'inventore e lo scrittore produca naturalmente da uno svantaggio, l'uomo, nelle sue forze, propose di supplire alla (divina o diabolica) mancanza con un artifizio che non soltanto elimina lo svantaggio, ma in realtà dà all'inventore o allo scrittore un vantaggio che non ha nessun altro lavoratore - un vantaggio, per giunta, che in pratica va, non all'inventore o all'autore, ma al promotore e all'editore ed al monopolista.
L'argomento per la proprietà nelle idee può sembrare di primo acchito convincente, ma se tu ci pensi abbastanza a lungo, comincerai ad esserne sospettoso. La prima cosa, forse, a destare il tuo sospetto sarà il fatto che nessun sostenitore di tale proprietà propone la punizione di quelli che la violano, essendo soddisfatti loro stessi dal porre coloro che violano tale proprietà sotto il rischio di pericolose cause legali, e che quasi tutti loro desiderano che anche il rischio delle cause legali scompaia quando il proprietario ha goduto del suo diritto per un certo numero di anni.
Allora, se, come Alphonse Karr, scrittore francese, ha rimarcato, la proprietà delle idee è una proprietà uguale ad altri tipi di proprietà, allora le sue violazioni, come le violazioni delle altre proprietà, meritano la punizione dei criminali, e la sua vita, come quella di ogni altra properità, dovrebbe essere assicurata contro lo scorrere del tempo. E sorge il sospetto che la mancanza di coraggio nelle proprie convinzioni possa essere dovuta a un istintivo sentire di essere nel torto.
Io suppongo che, se fosse possibile, e se fosse mai stato possibile, per un illimitato numero di individui usare in un numero illimitato di posti la stessa cosa concreta nello stesso tempo, allora non ci sarebbe potuto essere nulla di simile all'istituzione della proprietà.
In tali circostanze, l'idea di proprietà non sarebbe mai entrata nella mente umana o, se vi fosse entrata, sarebbe stata sommariamente lasciata da parte come un'assurdità tale da essere seriamente considerata solo per un momento.
Se fosse stato possibile per una creazione concreta o un adattamento della natura risultato dagli sforzi di un singolo, essere usato contemporaneamente da ogni individuo, inclusi il creatore o adattatore, impedendone la realizzazione, fino a fissare una legge per prevenire l'uso di una cosa concreta senza il consenso del creatore o adattatore, e venendo garantiti da una violazione a uno, tale violazione sarebbe stata benvenuta come una benedizione per tutti - in breve, sarebbe stata vista come il più fortunato elemento nella natura delle cose.
La ragion d'essere della proprietà si trova nel fatto (vero) che non c'è alcuna possibilità, de facto che sia impossibile, nella natura delle cose, per un oggetto concreto essere usato in differenti posti allo stesso tempo.
Esistendo questo fatto, nessuno può rimuovere da un altro un suo possesso ed usare la creazione concreta di un altro senza spogliare perciò tutti gli altri dell'opportunità di usare ciò che è stato creato, e per questa ragione diventa socialmente necessario, dacchè una società prosperosa si basa sull'iniziativa individuale, proteggere l'individuo produttore nell'uso delle sue concrete creazioni proibendo ad altri di usarle senza il suo consenso.
In altre parole, diventa necessario istituire la proprietà privata nelle cose concrete.
Ma tutto ciò è accaduto tanto tempo fa che adesso noi abbiamo totalmente dimenticato ciò che accadde. Infatti, è veramente incerto se, al tempo dell'istituzione della proprietà, quelli che la fondarono abbiano realizzato e compreso il motivo che li spingeva.
Gli uomini spesso operano per istinto e senza l'analisi che concorda con la corretta ragione.
Coloro che istituirono la proprietà forse erano costretti dalle circostanze inerenti la natura delle cose, senza realizzare la quale, sarebbe stata stravolta la natura delle cose. Essi non avrebbero istituito la proprietà.
Ma, anche supponendo che avessero compreso a fondo la strada imboccata, noi abbiamo dimenticato ciò che compresero.
E così è arrivato il momento che abbiamo fatto della proprietà un feticcio ; che noi consideriamo come una cosa sacra ; abbiamo messo il dio della proprietà su di un altare come un idolo ; e molti di noi non stanno facendo soltanto quel che noi possiamo fare per perpetuare il nostro regno nei limiti della nostra sovranità, ma anzi stanno erroneamente tentando di estendere il loro dominio su cose ed in circostanze che, nelle loro caratteristiche-chiave, sono precisamente opposte a quelle in cui si è sviluppato il potere della proprietà.
Tutto ciò che è da dire, per sommi capi, è che dalla giustizia e necessità sociale della proprietà delle cose concrete noi abbiamo erroneamente assunto la giustizia e necessità sociale della proprietà delle cose astratte - che è la proprietà delle idee - con il risultato di privare di validità, in un'estensione lata e deplorevole, quell'elemento fortunato nella natura delle cose, nelle circostanze non ipotetiche, ma reali - cioè, l'incomminesurabile, fruttuosa possibilità di usare le cose astratte da un qualsiasi numero di individui in un qualsiasi numero di posti e precisamente allo stesso tempo.
Noi siamo frettolosamente e stupidamente saltati alla conclusione che la proprietà nelle cose concrete implicasse logicamente quella nelle astratte, dal momento che, se abbiamo avuto la cura e la perspicacia di fare un'accurata analisi, noi abbiamo trovato che la vera ragione che detta la convenienza della proprietà nelle cose materiali rinnega la convenienza della proprietà in quelle astratte.
Noi vediamo qui un curioso esempio di quel frequente fenomeno mentale, cioè la precisa inversione della verità da parte di una visione superficiale.
Di più, qualora le condizioni fossero le stesse in ambo i frangenti, e le cose concrete potessero essere usate da differenti persone in differenti luoghi in uno stesso tempo, allora, dico io, anche se l'istituzione della proprietà nelle cose concrete sarebbe in queste condizioni manifestamente assurda, sarebbe infinitamente meno distruttiva delle opportunità individuali, e infinitamente meno dannosa al benessere umano, che l'istituzione della properietà per le cose astratte.
E' facile vedere che, accettando l'ipotesi che una singola pannocchia sia continuamente e permantentemente consumabile, da un indefinito numero di persone disseminate sulla superficie della terra, anche la istituzione della proprietà nelle cose concrete che assicurerebbe al seminatore di grano l'esclusivo uso di ciò che cresce nel suo campo non potrebbe, nel fare ciò, togliere ad altre persone il diritto di seminare altri campi e diventare coloro che godono esclusivamente dei rispettivi campi ; l'istituzione legale della proprietà nelle cose astratte invece non solo assicura all'inventore del vapore l'uso dell'energia che egli ha ora creato, ma allo stesso tempo toglie a tutte le persone il diritto di inventare loro stesse altre energie che partano dalle stesse idee.
La proprietà perpetua nelle idee, che è la logica conseguenza di ogni teoria della proprietà delle cose astratte, per l'essere vissuto di James Watt, avrebbe fatto dei suoi diretti eredi i proprietari di almeno nove decimi della ora esistente ricchezza del mondo.
E avrebbe fatto in modo che, in forza della di vita dell'inventore dell'alfabeto romano, ora tutti i popoli altamente civilizzati della terra sarebbero gli schiavi virtuali degli eredi di quell'inventore, che è un altro modo per dire che essi, anzichè diventare altamente civilizzati, sarebbero rimasti in uno stato di semi-barbarie. Mi sembra che queste due affermazioni, incontrovertibili dal mio punto di vista, siano in sè sufficienti a condannare la proprietà perpetua delle idee.

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